Alexander Trocchi


Da "Giovane Adamo"

Capitolo Primo.

Ci sono momenti in cui ciò che deve essere detto ti guarda dal passato - ti guarda come qualcuno da una finestra e tu per strada, che cammini. Le ore passate, le azioni passate assumono un inquietante senso di distacco. Ora, fra queste e te che ti volgi a guardarle non c'è continuità.
Stamattina, dopo essermi alzato, per prima cosa mi sono guardato allo specchio. è uno specchio di acciaio cromato e lo porto sempre con me. è infrangibile. La barba mi era cresciuta impercettibilmente durante la notte e ora, corta e ispida, mi copriva le guance e il mento. Avevo gli occhi meno arrossati rispetto alle due settimane precedenti. Dovevo aver dormito bene. Ho osservato la mia immagine per alcuni istanti, senza scorgere nulla di strano. Lo stesso naso, la stessa bocca e la piccola cicatrice che dall'alto s'incuneava nel sopracciglio sinistro non era più evidente di quanto non fosse il giorno prima. Niente fuori posto, eppure tutto lo era, perché fra me e lo specchio esisteva la stessa distanza, la stessa discontinuità che avevo sempre avvertito fra le azioni commesse ieri e la mia attuale consapevolezza delle stesse.
Ma il problema non si pone.
Io non mi chiedevo se sono l' "io" che guardava o l'immagine che veniva vista, l'uomo che ha agito o l'uomo che ha pensato all'azione. Perché ora so che è la struttura stessa della lingua a essere ingannevole. Il problema nasce non appena comincio ad usare la parola "io". Non c'è contraddizione nelle cose, soltanto nelle parole che inventiamo per riferirci alle cose. è la parola "io" ad essere arbitraria, a racchiudere in sé la propria inadeguatezza e la propria contraddizione. Nessun problema. Da qualche parte, oltre gli oscuri confini dell'universo, la risata di una iena. A quel punto ho distolto lo sguardo dall'immagine riflessa. Tra allora e adesso ho fumato nove sigarette."