Martin Heidegger


Un omaggio a questo celebre Pensatore, Martin Heidegger!

Questo "articolo" vuole essere "uno schemino" in cui si analizza qualche concetto preso da Heidegger, tentando di fare dei collegamenti con altri Autori.

NON ha pretese di essere "accademico" (per mia incapacità di fondo) né esaustivo, vuole solo essere introduttivo, e si spera, interessante e utile.


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La vita umana, per Heidegger, può essere riassunta in un "esser gettato", vale a dire, una "deiezione":

nessuno di noi ha deciso di nascere (da vedere anche i celebri aforismi di Cioran, in merito alla condizione della nascita, vista come baratro, e la sarcastica constatazione che "non nascere" sarebbe stata la condizione esistenziale migliore, ma putroppo al di fuori della portata di tutti noi...) ma "purtroppo" esistiamo, ed esistiamo come "scelta dell'agire di qualcunaltro." (i nostri genitori).

Siamo qui, in questo momento, senza averlo deciso a priori. Senza che sia stato approvato da noi stessi.

Domandiamoci con sincerità:

se ancor prima della nostra venuta al mondo, ci fosse stata data la possibilità di vedere, come in un film, tutta la nostra vita, così come si svolgerà, attimo per attimo, quanti di noi avrebbero accettato di nascere?

Nascere, il nostro esistere, quindi, così come la nostra particolarità, non dipende da noi, anche se ciascuno di noi cerca di creare condizioni favorevoli, con tentativi più o meno riusciti, di migliorare, cercare nuove prospettive di vita, di essere....
il credere al libero arbitrio di ciascuno di noi, o al contrario, il credere a un destino già segnato e immutabile, e così via, ma, di fatto, la nostra nascita non dipende da noi.

La Condizione di Gettità riguarda quindi tutti i nostri condizionamenti biologici, psicologici, sociali, che ci caratterizzano, ci rendono esseri umani, da una parte, ci esaltano (pensiamo a ciò che l'essere umano crea dal nulla: poesia, arte, musica, emozione, opere architettoniche sublimi, progresso nelle scienze, tutte espressioni dell'ingegno umano)
ma dall'altra, ci limitano e ci fanno pensare di essere un qualcosa di "già fatto" e compiuto, esaurito, immodificabile.

Un esempio di condizione già data e "già fatta" è il luogo della nostra nascita, o di come siamo esteticamente, o ancora,
il tipo di famiglia in cui cresciamo.

Secondo Heidegger, la condizione umana può essere un'"Esistenza Inautentica" o un'"Esistenza Autentica".

Nell'Esistenza Inautentica, la Via dell'Inautenticità, dell'In-sistere, si permane nei binari della propria condizione di gettità, che si declina in scelte impersonali: si agisce come ci si aspetta dall'altro, dagli altri, società, collettività, "quieto vivere".
Da una parte, siamo assolti: rimorsi, colpe, imbarazzi, sono delegati alla pluralità (tipico discorso di certa psicologia da talk show, che delega la colpa dei crimini di volta in volta al "è colpa del rock satanico", "si vestiva tutto di nero", "colpa dei genitori" e via dicendo, e via colpevolizzando a ritroso, la colpa è sempre di un capro espiatorio....), dall'altra, agendo nel solco del "faccio così perché lo fanno tutti" ci rende autonomi, spersonalizzati, anonimi.


Vediamo sul concetto di colpa, qualche frase presa da "La Caduta" di Camus:

"Per qualche tempo in apparenza, la mia vita continuò come se nulla fosse mutato... in quel momento il pensiero della morte irruppe nella mia vita di tutti i giorni... per essere franco, quello che facevo metteva conto di essere continuato? Ero perseguitato da un ridicolo timore: che non si potesse morire senza aver confessato tutte le proprie menzogne.
Non a Dio, o ad uno dei suoi rappresentanti.
Ero superiore a questo...
Non possiamo affermare l'innocenza di nessuno mentre possiamo affermare con sicurezza che tutti sono colpevoli...
chi avrebbe creduto che il delitto non consiste tanto nel far morire altri quanto nel morire noi stessi...Per desiderio di vita eterna, andavo a letto con le puttane e bevevo notti intere.
Certo, al mattino avevo in bocca il sapore amaro della condizione mortale...vivevo in una sorta di nebbia...morivo quietamente della mia guarigione...visto che non si potevano condannare gli altri senza giudicare immediatamente se stessi, bisognava incolpare se stessi per avere diritto di giudicare gli altri...da un po' di tempo a Mexico-City la mia utile professione consiste prima di tutto nel praticare il più possibile la confessione pubblica.
Mi accuso per lungo e per largo...più mi accuso più ho il diritto di giudicare...bevendo l'assenzio del giorno che nasce finalmente ebbro di parole cattive, io sono felice.
Avrei concluso la mia anonima carriera di falso profeta che grida nel deserto e rifiuta di uscirne."

Ritornando ad Heidegger, nell'Esistenza Autentica, la Via dell'Autenticità, dell'Ex-sistere, consiste nel portarci oltre (trascendere) a ciò che già siamo, trascendersi in un pro-getto.

Il soggetto, l'Io, diventa quindi Singolo, Unico; solo nella scelta individuale abbiamo la responsabilità e la libertà di agire, scegliere questo o quello. Siamo protagonisti in prima persona.

A tal proposito, è da citare questo passo preso da Max Stirner, in "L'Unico e la sua proprietà":

"Io non sono nulla nel senso della vuotezza, bensì il Nulla Creatore, il Nulla dal quale Io stesso, in quanto Creatore, creo tutto."
"Io fondo la Mia causa su Me stesso, Io che sono il Nulla, Io che sono il Mio Tutto, Io che sono l'Unico."


L'Esistenza diventa quindi un Essere-per-la-morte:

nessuno può morire la mia morte
né io muoio la morte di altri.

(così come questo ragionamento, si può estendere ai sentimenti, ai nostri modi di agire davanti al dolore, ai traumi, alle singole vicende, siano esse considerate "destino che doveva capitarmi" o "semplice caso, possibilità tra tante").

La morte, per Heidegger viene quindi vista come possibilità che mi appartiene a scopo esclusivo.

Dire che io sono un Essere-per-la-morte significa liberarsi dal credere che nell'esistenza ci sia qualcosa di stabile e fisso:
ogni possibilità che si presenta (e in questo senso, ciascuno di noi può credere a un dio o al caso, è irrilevante) viene colta come possibilità unica che oggi, e SOLO PER OGGI, mi viene data.

Quanti di noi hanno vissuto per un attimo, un qualcosa che aveva senso, o sarebbe stato, in quell'attimo unico?
E magari, in quel momento, non lo si era vissuto al 100%, si credeva di averlo ancora a disposizione, magari domani...
è da questo che nasce il rimpianto, i "se avessi potuto...",
"se avessi agito proprio in quell'attimo, considerandolo unico e irripetibile!"

Per questo, vivere al 100% ogni momento, con la convinzione che sia solo in quel momento, è l'unico modo per non sprecare "l'attimo fuggente".

Sentiamo cosa ha da dirci Nicola Abbagnano sul concetto di attimo, di scelta, di possibile:

"Il realmente possibile è ciò che che noi possiamo continuare a scegliere senza che l'averlo scelto una volta renda non possibile la scelta ulteriore...
Scegliere una possibilità tra le tante e possibili... La decisione dell'uomo è perciò stesso azione nel mondo... Il Nulla determina la natura dell'esistenza... ogni nostra possibilità
può ad ogni istante cadere nel Nulla... L'uomo può anche riconoscere e accettare la nullità fondamentale dell'esistenza per riconoscere che tale nullità e la morte costituiscono la vera natura di lui in quanto uomo. La morte gli appare come la sola possibilità che gli consenta di realizzarsi come uomo cioè come esistenza."

"Il poter morire che ognuno di noi riferisce non solo a sé ma anche agli altri è il fondamento talora nascosto di attività, pensieri, affetti, cure."

Ma, come Kierkegaard, anche Heidegger pone al centro l'Angoscia, che per Heidegger assume i contorni di un elemento positivo, perché tramite essa ci rapportiamo alla nostra consapevolezza estrema
(dover morire = in un momento, IO cesserò del tutto) che diventa il fulcro dell'Esistenza Autentica, l'acquisizione della propria individualità, del portarsi oltre a ciò con cui si è già nati ("gettati").
L'angoscia si differenzia dalla paura, perché la paura, esaurito l'elemento scatenante, non lascia traccia, mentre l'angoscia può sorgere persino nella più serena delle situazioni (a tal proposito è emblematico "L'urlo" di Munch... un urlo che sorge improvvisamente).

Vediamo Vladimir Jankèlèvitch come descrive la morte (e per me, l'analisi di Jankèlèvitch, resta una delle più suggestive analisi fatte sulla morte):

"La coscienza, nell'istante stesso in cui svanisce, si risveglia; nell'istante in cui muore, resuscita".
"L'istante è vita morente, una morte che coincide con la vita."
"Pensare la morte morendo a furia di pensarci lasciando che essa ci strangoli, che la negazione mortale si trasferisca sul soggetto... che il niente della morte neghi lo stesso essere dell'essere."

"La morte è sempre di volta in volta danzatrice macabra che recita nenie, amante assassina, comandante..."

"L'angoscia del presente si chiama futuro. L'angoscia di oggi si chiama domani. L'angoscia di domani si chiama dopomani... ma l'angoscia delle angosce, quell'angoscia elevata alla potenza che potremmo chiamare ansietà, l'angoscia diffusa e infine estrema,
si chiama Morte."

La morte viene vista quindi come fine dell'Esserci. Il Dasein, Esserci Qui e Ora, che non ha scopo alcuno.
Siamo un Esserci-sino-alla-morte:
il tempo vissuto, il modo di viverlo, diventa quindi la misura del vivere umano.

Vicino a Heidegger, troviamo Emmanuel Lévinas, insieme a Buber, Scholem, Rosenzweig e Wiesel, tra I Maestri della Filosofia Ebraica.

L'esistenza è, per Lévinas, il fenomeno dell'essere inteso come "Il y a" (in francese, "c'è").
La situazione in cui la persona individuale non emerge ancora come distinta dallo sfondo impersonale.
Il c'è, l'esistenza, è un flusso anonimo e indefinito.
Secondo Lévinas, il massimo livello di essere esistente lo si realizza quando avviene la relazione con l'altro/gli altri
(...l'Inferno sono gli altri, come direbbe Sartre, a questo punto, forse....)

Si ha quindi un vivere-per-gli-altri, e persino la relazione erotica acquisisce la consapevolezza estrema dell'alterità, "del mio altro":
Ognuno di noi è sempre faccia a faccia con qualcun altro.... e ciascuno di noi, adesso, può rispondere tra sé e sé, se questo sia un bene o un male...
Per Lévinas, quindi, il valore più alto nella vita umana è quello della responsabilità.

Vediamo altri due Pensatori, con queste frasi che "hanno una forte impronta heideggeriana":

Secondo Sartre, "L'uomo è condannato ad essere libero. Condannato perché non si è creato da sé e d'altraparte non di meno libero perché una volta gettato nel mondo, è responsabile di tutto quello che fa."

Per Jean Wahl invece "Definiamo noi stessi grazie alle nostre speranze e rimpianti... l'uomo è l'essere che problematizza la sua esistenza, ma quando lo fa non può che rispondere con la dissimulazione o il silenzio."

Per finire, Heidegger fu un punto di riferimento anche per Gadamer, Padre dell'Ermeneutica.

Concludendo, un pensiero di Heidegger:

"Non resta alcun sostegno: resta solo e ci piomba addosso - nello scomparire di ogni cosa - questo "nessuna cosa" a cui appigliarsi. L'Angoscia rivela Il Niente. Nell'Angoscia noi "siam sospesi". Meglio: l'Angoscia ci tien sospesi, perché porta le cose nella loro totalità a scomparire. E questa è la ragione per cui noi stessi - questi esseri umani - questi esistenti umani in mezzo alla totalità, scompariamo con essi a noi stessi. E però, in fondo, non io o tu, ma si è presi da sgomento. Soltanto il puro esistere, nell'ondeggiamento di tale sospensione che non può afferrarsi a niente, è quel che resta.
L'Angoscia ci serra alla gola, scomparendo ogni esistente nella totalità, e poiché il Niente ci stringe da ogni lato, ogni tentativo di dire "è" tace alla vista di lui. 
Che noi nella vaga e inquietudine dell'Angoscia spesso cerchiamo di rompere il silenzio col parlare a vanvera, è soltanto una prova della presenza del Niente. Che l'Angoscia sveli il Niente, lo constatiamo noi stessi immediatamente appena se ne va. Lo sguardo ancora fresco del ricordo si rasserena, e noi siamo costretti a dire: di che e perché ci siamo angosciati? Non c'era "propriamente" niente. E, in realtà, il Niente Stesso - come tale - era là."