Il Nichilismo


Riporto una bellissima analisi sul Nichilismo, scritta da Franco Volpi, nel libro "Il Nichilismo".

"Schlegel usa il termine Nichilimo in un altro senso ancora, per caratterizzare la visione orientale del mondo. Egli dice che il Nichilismo è la forma mistico-orientale del Panteismo (semplificando, il Panteismo è una concezione che vede tutto il creato, anche la realtà materiale, permeata del Divino. Nota di Lunaria), equazione, questa, che si ritrova più tardi anche nell'"Essenza del cristianesimo" di Feuerbach."

Mentre in Schlegel il significato del termine oscilla e cambia nelle diverse fasi del sul pensiero, Jean Paul ne fa invece un uso ben preciso e definito. Creatore, non a caso, del personaggio di Roquairol ("Titan", 1800), una delle significative figure di Nichilista della letteratura tedesca, Jean Paul critica nella "Clavis Fichtiana seu Leibgeberiana" (1800), dedicata a Jacobi, e poi in un intero capitolo della "Propedeutica all'estetica"(1804) coloro che egli chiama i "Nichilisti poetici", cioè i Romantici.

Essi vedono solo l'arte e non la natura: ebbri del loro io, profondamente "egoisti", non fanno che celebrare il libero gioco della fantasia, vale a dire l'attività spontanea dell'io creatore, dimenticando il non-io, la natura, l'intero universo, Dio compreso, che essi finiscono per ridurre a nulla. Ma quando, quasi come un sole che tramonta, anche Dio scompare e svanisce per un'epoca, allora tutto il mondo entra nell'oscurità.

L'ateismo spezza l'intero universo in una miriade di io isolati, senza unità e connessione, in cui ciascuno sta solo in mezzo a quel Nulla al cui cospetto perfino Cristo, alla fine dei tempi, dispera dell'esistenza del Dio-Padre. è la sconcertante visione apocalittica che Jean Paul immagina ben due volte. Una prima nel "Lamento di Shakespeare morto, tra i morti che lo ascoltano in chiesa, sulla non esistenza di Dio". Cimentandosi in una descrizione letteraria della sua esperienza del Nulla, Jean Paul immagina una voce che dall'altare proclama:

"Non v'è Dio né tempo. L'eternità non fa che rimuginare se stessa e rodere il caos. L'arcobaleno iridato degli esseri s'inarca senza sole sopra l'abisso e si dissolve goccia a goccia - noi assistiamo alla muta sepoltura della Natura suicida e veniamo sepolti con lei. Chi mai solleva lo sguardo verso un occhio divino della Natura? Lei vi fissa con una smisurata orbita vuota e nera."

Una seconda volta nel celebre "Discorso del Cristo morto, dall'alto dell'universo, sulla non esistenza di Dio" (1796), inserito nel romanzo "Siebenkas", e fatto conoscere da Madame de Stael che lo tradusse in francese in "De l'Allemagne". Qui Jean Paul perfeziona  e radicalizza la sua scandalosa visione del Nulla assoluto:

"Nulla immobile e muto! Fredda, eterna necessità! Folle caso! Conoscete voi ciò che dominate? Quando abbatterete l'edificio e me?- Caso, sai tu quello che fai quando avanzi con i tuoi uragani nel nevischio delle stelle, spegnendo un sole dopo l'altro col tuo soffio, e quando la rugiada luminosa delle costellazioni cessa di scintillare al tuo passaggio? - Come ciascuno è solo nell'immensa tomba dell'universo! Accanto a me ci sono solo io - O padre! O padre! dov'è il tuo seeno infinito perchè mi possa riposare su di esso?"

Nel Nulla finisce per inabissarsi anche il punto fermo sul quale gli Idealisti basavano la loro Annihilatio Mundi, cioè l'Io.

"Se ciascun io è padre e creatore di se stesso - si interroga Jean Paul - perché mai non può essere anche il proprio angelo sterminatore?"

Non è un caso che in un altro testo, da molti considerato per la sua radicale e caustica ironia il culmine del Nichilismo romantico, "I Notturni di Bonaventura"(1804), l'anonimo autore riprenda, nell'episodio dell'Ebreo errante, lo stesso motivo nichilistico di Jean Paul senza più stemperarlo nella cornici del sogno, come fa quest'ultimo. Tutto lo scritto è un cimentarsi con il Nulla, e la professione di Nichilismo fatta nell'ottavo notturno non potrebbe essere più tetra:

"Il teschio non diserta mai la maschera che occhieggia, la vita non è che l'abito a sonagli che il Nulla indossa per tintinnare prima di stracciarselo via di dosso. Che cos'è il Tutto? Nient'altro che il Nulla: esso si strozza da sé, e giù s'ingoia voracemente: ecco a che si riduce la perfida ciarlataneria secondo la quale esisterebbe qualcosa! Se infatti una sola volta lo strozzamento sostasse, il Nulla balzerebbe evidente agli occhi degli uomini da farli inorridire; i folli chiamano eternità questo fermarsi! - Ma no, è proprio il Nulla invece, la morte assoluta - poichè la vita consiste solamente in un ininterrotto morire.
E nella chiusa dello scritto viene lanciata ancora una volta la sfida autodistruttiva all'indirizzo del Nulla:
Io voglio guardare furente nel Nulla e affratellarmi con lui, in modo da non avvertire più residui umani quando infine mi ghermirà! Con te, vecchio alchimista, vorrei mettermi in cammino; solo, non devi mendicare per ottenere il cielo - non mendicare - espugnalo piuttosto, se ne hai la forza... smettila di mendicare; ti disgiungo a forza le mani! Ahimè! Che è questo  - anche tu non sei che una maschera e mi inganni? Non ti vedo più, Padre - dove sei? Al tocco delle mie dita tutto si riduce in cenere e sul suolo non resta altro che una manciata di polvere, mentre un paio di vermi satolli strisciano via di soppiatto... Spargo questa manciata di polvere paterna nell'aria, e che cosa rimane - Nulla! Di fronte, sulla tomba, il visionario ancora indugia e abbraccia il Nulla! E l'eco nell'ossario chiama per l'ultima volta - Nulla!"

Questi elementi possono bastare a dare un'idea dell'immaginoso contesto in cui i Romantici trattano il problema del "Nichilismo". Ma ancora più significativo da un punto di vista filosofico è il fatto che il termine viene impiegato in senso tecnico niente meno che dai giovani Schelling e Hegel. Mentre Schelling prende atto della polemica tra Jacobi e Fichte e respinge l'accusa secondo cui egli stesso sarebbe un Nichilista, Hegel rivendica la necessità del Nichilismo trascendentale come procedimento metodico della Filosofia.

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Questa prima tematizzazione del Nulla è lo sfondo sul quale Hegel svilupperà successivamente la diagnosi nichilistica della transizione al mondo moderno in termini di "Morte di Dio", "Ateismo", "Fatalismo", "Pessimismo","Egoismo", "Atomismo", e dichiarerà la necessità che la dialettica attraversi la negatività e il Nichilismo, cioè "il sentimento che Dio è morto", pur riconoscendolo come semplice momento nella vita dello Spirito, che va superato.

Che anche un pensatore importante come Hegel impieghi in senso filosofico il termine "Nichilismo", anche se solo nella fase giovanile del suo pensiero, è un episodio molto significativo per la ricostruzione della storia del concetto e del problema.

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Per quanto riguarda la presenza ulteriore del concetto in seno all'Idealismo, a testimoniare la non occasionalità del suo impiego va detto che lo si ritrova anche in altri esponenti minori del movimento, come Karl Rosenkranz, Christian Weisse e Immanuel H. Fichte, di volta in volta con accentuazioni diverse.
Ma più ci si allontana dall'originaria controversia circa la genesi dell'Idealismo, più il significato del termine si sposta dall'ambito strettamente filosofico-speculativo a quello sociale-politico, cioè alle conseguenza ingenerate dall'assunzione, da parte di un soggetto privilegiato, di un atteggiamento di radicale annichilimento di tutto ciò che ne delimita l'agire. Fa la sua comparsa la figura del "Nichilista" quale libero pensatore che demolisce ogni presupposto, ogni pregiudizio, ogni condizione già data, quindi anche ogni valore tradizionale, e che prefigura così i tratti del Nichilista anarchico-libertario che vivrà la sua stagione più intensa negli ultimi decenni dell'Ottocento."
 
Parere di Lunaria: impossibile, a questo punto, non citare Max Stirner!

Max Stirner, "L'Unico e La Sua Proprietà" (1844)

Io sono Il Proprietario della  Mia Potenza; e tale divento appunto nel momento stesso in cui acquisto la coscienza di sentirmi Unico. Nell'Unico il Possessore ritorna nel Nulla creatore dal quale è uscito. Qualsiasi essere superiore a Me, sia esso Dio o Uomo, deve inchinarsi davanti al sentimento della Mia Unicità, e impallidire al sole di questa Mia Coscienza. Se Io ripongo La Mia Causa in Me Stesso, L'Unico, essa riposa sul suo Creatore effimero e perituro che da se stesso si consuma; sicché, potrò veramente dire: IO HO FONDATO LA MIA CAUSA SU NULLA.  

Riporto anche qualche nota su Stirner, tratta sempre dal libro di Volpi.

"La sua opera capitale,"L'Unico e La Sua Proprietà" (1844), è l'espressione più rabbiosa e corrosiva del radicalismo di sinistra nato come reazione allo Hegelismo. Sostenendo le ragioni di una rivolta anarchico-libertaria spinta all'estremo, Stirner si scaglia contro ogni tentativo di assegnare alla vita dell'individuo un senso che la trascende e che pretende di rappresentarne le esigenze, i bisogni, i diritti e perfino l'immagine. E chiama l'indefinibile entità che io stesso sono "L'Unico", così come in quei medesimi anni Kierkegaard - anch'egli contro Hegel - lo chiama il "Singolo".

Principe degli iconoclasti moderni, Stirner intende smontare ogni sistema filosofico, ogni astrazione, ogni idea, - Dio, ma anche lo Spirito di Hegel o l'Uomo di Feuerbach - che arroghi a sé l'impossibile compito di esprimere "l'indicibilità" dell'Unico:

"Dio e l'umanità hanno fondato la loro causa su nulla, su null'altro che se stessi. Allo stesso modo io fondo allora la mia causa su me stesso, io che, al pari di Dio, sono il nulla di ogni altro, che sono il mio tutto, io che sono l'unico. Io non sono nulla nel senso della vuotezza, bensì il nulla creatore, il nulla dal quale io stesso, in quanto creatore, creo tutto."

Il tenore blasfemo del rifiuto stirneriano di ogni fondamento risulta chiaro se si considera che l'espressione "Io ho fondato la mia causa su nulla" fu introdotto da Goethe nella poesia "Vanitas! Vanitatum Vanitas!", rovesciando il titolo di un canto ecclesiastico di Johannes Pappus (1549-1610) che recita: "Io ho affidato la mia causa a Dio".


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Da "Storia del Nulla" di Sergio Givone

"Tu sia lodato Nessuno. Per amor tuo fioriamo. Al tuo cospetto un nulla eravamo, siamo, resteremo, fiorendo. Rosa del Nulla e di Nessuno." (Paul Celan)

Givone ha suddiviso questa sua personale storia del Nulla in sezioni:
si va dalle origini classiche-greche a quelle mistiche-religiose (Apocalisse, Meister Eckhart, Bohme) a quelle di Montaigne e Pascal (unico difetto: mancano le traduzioni in italiano dei pensieri in francese!) e al concetto del Nulla in età  romantica (Solger, Chateaubriand, Constant, Sènancour, Leopardi) per finire con Sartre ("Sono io che sono senza scuse, solo, assolutamente ingiustificabile, decido del senso del mondo e della mia esistenza") Jacobi ("L'uomo deve scegliere e la scelta è questa: o il Nulla, o Dio; scegliendo il Nulla egli si fa dio"), Leibniz ("Perché l'Essere e non il Niente?") e Schelling.

A mio parere la sezione più interessante è "Uno sguardo dal Nulla" dedicato alla poetica leopardiana (già analizzata anche da Severino) con una bella analisi della poesia di Leopardi - magari noleggiatevi il libro e leggete solo quella parte se siete fan di questo autore -). Annoia invece l'analisi della tragedia-filosofia greca, ma questo è il mio personalissimo parere...!

"Perché non il Nulla? Perché questa scomposta e grottesca e dolorosissima agitazione di tutto e di tutti che comunque non porta se non al Nulla? Perché non anticipare la fine, trovando nella dissoluzione del senso dell'Essere L'unico senso possibile?"



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