Elie Wiesel


Qualche frase di Elie Wiesel, nato a Sishet, Transilvania, deportato 16enne ad Auschwitz e Buchenwald.

Wiesel è uno dei maggiori Pensatori Ebraici del '900, insieme a Rosenzweig (autore di un libro interessante, anche se "confuso" e molto misterico, che cercava di coniugare Cristianesimo ed Ebraismo), Buber, Lèvinas, Jean Amery. A questi aggiungo anche Primo Levi, anche se ovviamente, non è propriamente "filosofico", ma che non può essere di certo ignorato, quando ci si avvicina al Pensiero Ebraico, soprattutto del "dopo-Auschwitz". Comunque, solitamente ci si imbatte in Wiesel/Rosenzweig/Buber/Lèvinas/Amery quando ci si avvicina all'Esistenzialismo, specialmente quello "spirituale" declinato nel Cristianesimo (Marcel/Le Senne/Lavelle, ma anche il nostro Pareyson) e appunto nell'Esistenzialismo Ebraico,(ad onor del vero, ne esiste anche uno Islamico -Badawi/Lahbabi- e uno Orientale - Suzuki -, ma purtroppo le notizie in mio possesso si limitano davvero a pochissimi dati...) questo perché gli scritti e le riflessioni di questi Pensatori tendono ad assumere una valenza esistenziale, con tutte le domande e i dubbi, e non tanto legati alla mera esposizione boriosa esegetica/teologica.

Queste frasi di Wiesel sono tratte da "Il Male e l'Esilio".
Personalmente, mi sembra di ricordare che feci la conoscenza di Wiesel, per la prima volta, leggendo Quinzio, che lo citava, insieme a Simone Weil. Trovai appunto questo libro, "Il Male e l'Esilio" (ma Wiesel ne ha scritti parecchi), e segnai le frasi che più mi colpivano (non necessariamente riferibili, a livello di interpretazione personale, al genocidio, ma che possono anche essere intese in riferimento al nostro vissuto). Più in là venni a sapere che effettivamente in campo teologico sia Ebraico che Cristiano, si è cercato di metabolizzare e rielaborare il genocidio, alla luce di domande come "Perché Dio lo ha permesso?", "Che senso acquista il genocidio?", "Possiamo ancora avere fede in Dio, nella sua bontà, dopo quello che è successo?", che lo stesso Wiesel, di fede Ebraica, si domanda nel suo libro.

Collegamenti se ne possono fare con l'annuncio della Morte di Dio (che parte da Jean Paul nel '700, e prosegue fino a Nietzsche, e poi ai Teologi della Morte di Dio, Altizer, Cox, Vahanian, Van Buren, Quinzio e Kung, a mio parere...) o anche leggendo le testimonianze di chi ha perso la fede, a seguito della deportazione.

Personalmente, pur non avendo letto tutto Wiesel, sono rimasta colpita dal suo essere, in qualche modo fedele a Dio, ma anche "arrabbiato" con lui, e lo si intuisce, in più di una frase, la domanda di Wiesel, che resta inespressa sul "Perché?". Lo trovo un atteggiamento vero e sincero, e non ipocrita, o potremmo citare, da certa "fede cristiana da sepolcro imbiancato".


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"Così come noi sentiamo la nostra anima solamente allorchè ci duole (sono parole di Unamuno) allo stesso modo sentiamo la nostra memoria collettiva solo quando ci duole, ovvero quando ci interroga, ci sprona."


"Il caso è il quesito supremo posto dalla Shoa. La Shoa ci obbliga - per la sua enormità, per l'impossibilità di collocarla nell'immaginabile, nel pensiero, come un evento tra gli altri - a ricominciare a pensare e a credere partendo dalla frattura ch'essa opera in noi."


"Dopo Auschwitz, tutto riporta ad Auschwitz."


"Ma c'è sempre in me il senso di colpa: so che, essendo sopravvissuto, qualcun altro ha dovuto morire."


"L'ultima questione è quella che Emmanuel Lèvinas poneva pubblicamente, in tutta la sua abissale enormità, per la prima volta a 80 anni, nel 1986:

<< Ultima domanda: è possibile restare ebrei dinanzi a un Dio che rompe l'alleanza, che cessa di rispondere, che ricusa la richiesta di aiuto, che vi lascia morire, come se vi avesse abbandonato? Restare ebrei non equivale forse a prendere alla leggera la disperazione, e forse il dubbio, di quanti andavano a morire? >>

Le parole di Nietzsche sulla Morte di Dio non prendono nei campi di sterminio il significato di un fatto quasi empirico? Si chiede Emmanuel Lèvinas."


"Abbiamo la netta percezione che un giorno non lontano dovremo - noi che allora non eravamo nati - parlare di un Dio muto mentre il suo popolo veniva sacrificato su un'ara di cenere dai molti nomi, dai nomi impronunciabili, la più grande ara di cenere della storia."


"Se c'è un tempo per pregare, c'è un tempo per porre delle domande a Dio, è un terzo tempo in cui, in assenza di risposte, non resta altro da fare se non intentare un processo a Dio. Tutta la grandezza della tradizione Ebraica, tutta la sua forza, non sono forse in grado di intentare all'Eterno un processo per aver lasciato assassinare sei milioni di individui del suo popolo, di cui un milione e mezzo di bambini?"


"Così il mondo prende coscienza di ciò che ha perduto lasciando massacrare sei milioni di Ebrei. Tra il milione e mezzo di bambini uccisi, quanti Premi Nobel avrebbero potuto esserci? E forse tra quei Premi Nobel assassinati a 2, a 6, a 8 anni, avrebbero potuto celarsi l'inventore, lo scopritore della cura contro il cancro o contro l'Aids."


"Una domanda che mi assilla: che cosa faceva Dio mentre i suoi figli venivano massacrati da altri suoi figli?"


"Quando gli Ebrei si incontravano, non palavano di Olocausto, termine non ancora introdotto nel linguaggio corrente, né di Shoa, ma usavano la parola Churban."


Parlando di Giovanni Paolo II: "Ha celebrato la messa a Birkenau. Ecco, lo trovo un atto di insensibilità. Avrebbe dovuto condurre con sé un Rabbino e nove Ebrei e dir loro: voi recitate il Kaddish per le vittime di Fede Ebraica ed io celebro una messa per i Cattolici. Invece qual'era il suo intento? Convertire gli Ebrei a titolo postumo?"


"In Ebraico la parola "Anì" (Io) e "Ayin" (Nulla) si scrivono con le stesse tre lettere: Aleph, Yod, Nun, perciò hanno lo stesso valore numerico


(Nota di Lunaria: la Bellezza della Lingua Ebraica - e quella Araba - è che ciascuna lettera è "caricata" di un valore esoterico, filosofico, misterico, numerico. Tramite il calcolo dei valori numerici delle lettere, o il loro combinarsi, è possibile, non solo "predire il futuro", ma anche vedere la Sapienza nascosta. In questo caso, l'Aleph è la prima lettera - ricorda una "X" - dell'Alfabeto Ebraico, ed è anche aperta. La Yod, ha una forma di virgola, ed è la più piccola, una sorta di seme, presente anche nel nome di Dio. La Creazione si originò da "Bereshit barà Elohim", "In principio Dio creò" - ma "Elohim" e forma plurale del termine "Dio", in Ebraico - una formula creativa che ha origine quindi dalla Beth - la seconda lettera dell'alfabeto ebraico, che ha una forma chiusa, una sorta di "C" capovolta, e non dalla prima lettera, l'Aleph, che era aperta, partire dalla Beth a significare che il corso della storia sarebbe stato a senso unico, come la Beth, e non aperto, come l'Aleph, di modo che l'uomo non "spingesse la vista" oltre ciò che viene chiuso dalla Beth; un testo rabbinico scrive: "Non hai il diritto di indagare se non dal giorno in cui il mondo è stato creato in poi"; un'altra interpretazione è data dal fatto che il verbo "benedire" in Ebraico inizia con la Beth, mentre "maledire" inizia con Aleph. Dio non volle iniziare qualcosa partendo dall'Aleph che indicava anche "maledizione". Queste note le ho trovate in Pareyson.)

Il fatto che siano le stesse lettere significa che le due parole, "Io" e "Nulla", sono legate a livello profondo?"

Intervista con Elie Wiesel da "il male e l'esilio":

"Crede che l'angoscia sia fondamentale nell'uomo?"

"Certamente. Poichè dopo tutto la vita non è che uno stretto passo tra un mondo di tenebra e un altro mondo di tenebra - o di luce - ma sconosciuto, è naturale che susciti paura e remore. Per questo nella tradizione ebraica accettiamo l'angoscia."

E per finire, una frase letta su "Famiglia Cristiana", in un articolo che dedicò a Wiesel: "Si può e si deve amare Dio, si può interrogarlo, persino avercela con lui, ma si può anche compiangerlo."