Caraco e Aleksandr Herzen


Di fronte alle rovine, concrete, tangibili, reali o metafisiche e personali, si possono avere atteggiamenti differenti:

- la rassegnazione, l'inazione, il non-voler-far-niente,
la muta contemplazione.

- la rabbia, la furia iconoclasta, il voler-distruggere-ancora di più.


Vediamo come questi atteggiamenti siano stati incanalati da due "antifilosofi" (ribelli all'opprimente tradizione accademica) come Aleksandr Herzen e Albert Caraco.


ALEKSANDR HERZEN "DALL'ALTRA SPONDA" (1850)

Un libro che è una gemma di Nichilismo contemplativo...



"[...] Herzen respinge tutto questo, considerandolo null'altro che una mitologia sadica peculiare ai tedeschi, privi di giustificazione morale e di fondamento empirico. è convinto che la morale non sia un codice fisso, oggettivo ed eterno, una serie di precetti immutabili che gli esseri umani devono semplicemente discernere per obbedirvi, siano essi stati decretati da una divinità o individuati nella "natura" o nella "logica della Storia". Sostiene anzi che è l'uomo a inventare la propria morale: animato da quell'egoismo senza il quale non ci sono vitalità e attività creativa, l'uomo è responsabile delle proprie scelte e non può invocare l'alibi della natura o della storia per non essere riuscito nemmeno a tentare di realizzare ciò che per qualsiasi ragione egli ritiene buono, o giusto, o piacevole, o bello, o vero. Questa negazione della possibilità di formulare, in linea di principio, norme morali generali ed eterne, espresse senza traccia di drammatizzazione byroniana o di iperbole nietzchiana, rappresenta una dottrina che è raro incontrare nell'Ottocento. [...] Herzen attaccava con particolare violenza coloro che fanno appello a principi generali per giustificare feroci crudeltà, che oggi legittimano il massacro di migliaia di persone alla luce della promessa che, in un nebuloso domani, assicurerà a milioni la felicità, perdonando miserie e ingiustizie inaudite nel nome di una felicità travolgente ma remota. Per Herzen questo atteggiamento non è altro che una perniciosa illusione e forse un deliberato inganno; perché il fine lontano non sarà forse mai raggiunto, mentre i tormenti, le sofferenze, e i crimini del presente sono anche troppo reali; e poiché sappiamo così poco del futuro, e non abbiamo modo di predirlo con certezza, affermare l'opposto e cercare di scusare gli effetti dei nostri atti brutali con promesse tanto fallaci, è follia o frode. Non siamo in grado di dire se la moltitudine conseguirà mai la sorte beata che le abbiamo con tanta sicurezza garantito; sappiamo però per certo che oggi migliaia di uomini periranno inascoltati. Un fine lontano per Herzen non è un fine, bensì una mostruosa illusione. [...] Non è necessario ricordare agli uomini del nostro secolo la tirannia dei grandi sistemi altruistici: i liberatori che opprimono [...] (Nota di Lunaria: Herzen si opponeva alle utopie del suo tempo, dai socialisti agli hegeliani, perché gli apparivano una minaccia per la libertà individuale. Avesse visto "la -crazia" del nostro 2021...) [...] In "Dall'altra sponda" egli critica aspramente la meschinità e il livore della borghesia che schiaccia tutto ciò che è originale, indipendente e aperto; e critica del pari la reazione clericale e militare e l'odio per la libertà e la barbara brutalità delle masse. Herzen avverte la sventura imminente [...] se al comunismo - alla rivolta delle masse - sarà mai permesso di dilagare in Europa, esso sarà "terribile, sanguinoso, ingiusto, repentino" e distruggerà nel nome del sangue e delle lacrime degli oppressi, tutto ciò che è caro agli uomini civili."

Herzen, a suo figlio, nel 1855:

"[...] Non cercare soluzioni in questo libro, poiché non ve ne sono, né comunque se ne hanno per l'uomo contemporaneo. Quanto è risolto è finito, mentre il rivolgimento venturo è appena agli inizi. 
Non costruiamo noi, noi demoliamo, non annunciamo una nuova rivelazione, disperdiamo bensì la vecchia menzogna. L'uomo contemporaneo, triste pontifex maximus, si limita a gettare un ponte; lo attraverserà un altro, uno sconosciuto, l'uomo futuro. Forse tu lo vedrai... Non fermarti sulla vecchia sponda... Meglio con costui perire, che salvarsi dall'ospizio della reazione."

"Dov'è adesso questo sistema consolatorio? è crollato nel suo stesso fondamento; il XVIII secolo termina, mentre in due passi l'infelice filantropo misura la sua tomba, per giacervi con cuore ingannato, dilacerato e chiudere gli occhi per sempre. [...] Secolo dei lumi, io non ti riconosco! Nel sangue e nelle fiamme, fra assassini e distruzioni, io non ti riconosco!... [...] Lo spargimento di sangue non potrà durare in eterno [...] anche i tuoni taceranno, la calma prima o poi verrà, ma che genere di calma? potrebbe essere morta, fredda, buia... [...] Forse già interi eoni sono affondati nell'eternità [...] Lentamente si è diradata, lentamente si è rischiarata la densa tenebra [...] O posterità! Che destino ti attende?..."

"[...] Ci siamo storpiati sotto il peso della disperazione, eppure ci siamo in qualche modo salvati. [...] E la si può forse destare [la coscienza sopita del popolo] parlando a bisbigli, per remote allusioni, quando il grido e la parola diretta si fanno appena sentire?"

"[...] La sofferenza, il dolore, sono un invito alla lotta, sono il grido d'allarme della vita che richiama la nostra attenzione sul pericolo. Il mondo in cui viviamo muore, muoiono le forme in cui la vita si manifesta; ormai non c'è medicina in grado di agire sul suo corpo vetusto; perché gli eredi possano respirare senza difficoltà occorre seppellirlo, mentre gli uomini vogliono farlo a tutti i costi guarire e ne ritardano la morte. [...] I secoli precedenti hanno sviluppato in noi soprattutto la tristezza, uno sfinimento malato."
 
"[...] Fatica sprecata. Ci ricordiamo di essere vivi per il sordo dolore, per il dispetto che ci rode il cuore, per il monotono battere delle ore... è arduo dilettarsi, inebriarsi, quando si sa che il mondo intero tutt'intorno si disintegra e magari finirà a un certo punto per schiacciarci. E poi non importa dove si vada a parare, ci toccherà comunque morire di vecchiaia vedendo intorno a noi mura decrepite e barcollanti che a cadere nemmeno ci pensano. [...] Noi non abbiamo niente per cui morire, né per cui vivere..."

"[...] Perciò: evviva il caos e la distruzione! E che sia issato il vessillo dell'avvenire!"

"[...] Non intendo schierarmi né sotto l'una né sotto l'altra bandiera [...] Predicate la novella della morte, mostrate agli uomini ogni nuova piaga sul petto del vecchio mondo, ogni successo nella sua distruzione [...] Predicate la morte come buona novella della redenzione ventura. [...] Finita la lotta, cominceremo a predicare la morte, nessuno potrà impedircelo in un ampio cimitero ove giacciano l'uno accanto all'altro tutti i combattenti; a chi meglio che ai morti si addice ascoltare l'apoteosi della morte? Se le cose continueranno ad andare come adesso, lo spettacolo sarà invero originale; il futuro appena edificato perirà insieme al decrepito che trapassa [...] Un futuro che muore non è un futuro. [...] Dietro la conoscenza di cosa non vogliamo si cela il presentimento di cosa vogliamo; su questo si fonda il pensiero, ripetuto tanto spesso da vergognarsi a citarlo, che ogni distruzione è a suo modo una creazione."

"[...] la sofferenza distrae, occupa, consola."

"[...] Nulla che io rispetti, ad eccezione di quanto esso condanna, eppure resto...resto a soffrire, doppiamente, a soffrire del mio dolore e del suo, a perire forse nella disfatta e nel crollo."

"[...] Le conseguenze non mi riguardano... è meglio smarrirsi, cadere del tutto, piuttosto che rinunciare alla propria verità."

"[...] Il futuro non ci appartiene, col presente non abbiamo niente da spartire... crediamo in tutto, fuorchè in noi stessi..."

"[...] La vita dei popoli diventa un gioco vacuo, un modellare incessante con la sabbia, con le pietre, perché poi tutto crolli nuovamente a terra, perché gli uomini strisciando da sotto le macerie ricomincino da capo... ottenendo nel corso dei secoli, con lunga fatica, un nuovo crollo."

"[...] Trovare una consolazione nell'assenza stessa di speranza."

"Noi non abbiamo altra occupazione che soffermarci tristemente sulle sue rovine, né altro significato che servirgli da monumento tombale?"

"Siamo riusciti a renderci conto della nostra condizione, non speriamo più nulla, nulla più attendiamo, o, se volete, ci aspettiamo di tutto: è la stessa cosa."


e ALBERT CARACO, da "BREVIARIO DEL CAOS"

- Di qui non si esce, non possiamo mutare l'ordine del mondo, siamo condannati a portare ciò che ci schiaccia, sostenendo ciò che ci disgrega, non ci resta che perire o uccidere, prima di morire noi stessi - fosse pure per ultimi - una terza via, lo dico
apertamente, è impossibile.

- Elevo un canto di morte su ciò che sta morendo... rotoleremo tutti insieme nelle tenebre da cui non si ritorna e il pozzo buio ci accoglierà, noi e i nostri Dei assurdi, noi e i nostri valori criminali, noi e le nostre speranze ridicole.

- La catastrofe è necessaria, la catastrofe è desiderabile, la catastrofe è legittima, la catastrofe è provvidenziale, il mondo non si rinnova a minor prezzo, e se non si rinnova dovrà scomparire con gli uomini che lo infettano. Gli uomini si sono diffusi nell'universo come una lebbra.

- Non potremo cambiare le nostre città se non distruggendole, fosse pure insieme agli uomini che le popolano,
e verrà il giorno in cui plauderemo a quest'olocausto.
Allora non indietreggeremo più davanti a nulla, e faremo a chi si mostrerà più barbaro, diventeremo i sacerdoti del caos
e della morte, la nostra vittima sarà l'ordine e lo immoleremo perchè cessi l'assurdo.

- Noi vogliamo restaurare e perciò progettiamo di distruggere,
vogliamo ritrovare un'armonia e perciò armiamo il caos del nostro amore. Vogliamo rinnovare tutto e perciò non risparmierò più nulla. Giacché se i viventi scelgono di essere insetti e pullulare nelle tenebre, nel frastuono, e nel tanfo, noi siamo qui per impedirglielo e salvare l'uomo sterminandoli.
Non si deve prestare loro assistenza né ostacolare le malattie che li decimano, più ne muoiono e meglio sarà per noi giacchè non avremo bisogno di sterminarli.

- Elevo un canto di morte sull'universo e prevedo l'annientamento da un polo all'altro del mondo che abitiamo e di quelli che ci hanno preceduto e che stiamo finendo di portare alla luce affinché siano distrutti insieme con il nostro.
Elevo un canto di morte e saluto il caos che sale dall'abisso e il terrore antico riemerso dal profondo dei tempi.
Canto il caos con la morte, la morte e il caos stanno per celebrare il loro matrimonio, l'incendio dell'ecumene illuminerà le nozze, le nostre città andranno in rovina, e le loro case saranno la tomba degli insetti che le popolano e insozzano.

- Noi tendiamo alla morte, come la freccia al bersaglio, e mai falliamo la mira, la morte è la nostra unica certezza e sempre sappiamo di dover morire, quale che sia il luogo, il momento, o il modo. La vita eterna è un nonsenso, l'eternità non è vita, la morte è la quiete a cui aspiriamo, vita e morte sono legate, chi reclama altro pretende l'impossibile e otterrà in ricompensa solo fumo.   

- Ognuno di noi muore solo e muore interamente: sono due verità che i più rifiutano, giacché i più durante tutta la loro vita sonnecchiano e quando stanno per morire temono di svegliarsi. La solitudine è una scuola di morte e l'uomo comune non la frequenterà mai, l'integrità non si ottiene altrove, essa è dunque la ricompensa della solitudine, e se si dovessero suddividere gli uomini, essi formerebbero tre razze: i sonnambuli, che sono un esercito; i ragionevoli e sensibili, che vivono su due piani e, sapendo ciò che a loro manca, si sforzano di cercare ciò che non trovano;
gli spirituali nati due volte, che vanno alla morte con passo uniforme per morire soli e morire interamente, quando non si dia il caso che scelgano loro il momento, il luogo e il modo, a dimostrazione del loro disprezzo per le contingenze.   

- Le città che abitiamo sono scuole di morte, perché sono disumane. Ognuna di esse è diventata il ricettacolo del frastuono e del tanfo, poiché ognuna è diventata un caos di edifici, dove ci ammassiamo a milioni, smarrendo le nostre ragioni di vita. Sventurati senza scampo, sentiamo di esserci cacciati, volenti o nolenti, nel labirinto dell'assurdo, da cui non usciremo che morti, giacché il nostro destino è di continuare a moltiplicarci, unicamente per morire innumerevoli. A ogni giro di ruota le città che abitiamo avanzano impercettibilmente una incontro all'altra,    
aspirando a confondersi: è una corsa al caos assoluto, nel frastuono e nel tanfo.   

- Si avvicina l'ora del denudamento, in cui le nostre tradizioni cadranno, una dopo l'altra, come indumenti, lasciandoci nudi, esposti al giudizio, nudi fuori e vuoti dentro, con l'abisso sotto i piedi, il caos sopra la testa.

- Noi siamo all'Inferno, e la sola scelta che abbiamo è tra essere i dannati che vengono tormentati o i diavoli addetti al loro supplizio.

- E per la morte che noi viviamo, è per la morte che amiamo ed è per lei che procreiamo e sgobbiamo, le nostre fatiche e i nostri giorni si susseguono ormai all'ombra della morte, la disciplina che osserviamo, i valori che salvaguardiamo e i progetti che facciamo portano tutti a un solo esito: la morte. La morte ci mieterà maturi, noi maturiamo per lei, e i nostri discendenti, che saranno ridotti a non più di un pugno di uomini sulla superficie dell'ecumene in cenere, non smetteranno di maledirci, finendo di bruciare tutto ciò che adoriamo. Noi adoriamo la morte sotto mentite spoglie e non sappiamo che è lei, le nostre guerre sono sacrifìci in lode alla morte, per la quale ci immoliamo.

- Presto il mondo non sarà che un cantiere dove, alla stregua di termiti, miliardi di ciechi sgobberanno a perdifiato nel    
frastuono e nel tanfo, come automi, finché un giorno si sveglieranno in preda alla demenza e cominceranno a scannarsi indefessamente l'un l'altro. Nell'universo in cui stiamo affondando la demenza è la forma che assumerà la spontaneità dell'uomo alienato, dell'uomo posseduto, dell'uomo superato dai suoi stessi mezzi e divenuto schiavo delle sue opere.   

- Elevo un canto di morte su ciò che sta morendo, e di fronte ai nostri reggenti da strapazzo, di fronte ai nostri impostori mitrati e di fronte ai nostri scienziati, i più dei quali non hanno raggiunto l'età della ragione, io, solitario e misconosciuto, profeta della mia generazione, murato vivo nel silenzio anziché essere arso sul rogo, pronuncio le ineffabili parole che domani i giovani ripeteranno in coro. La mia unica consolazione è che la prossima volta moriranno con noi, i reggenti e gli impostori e gli scienziati, non rimarrà sotterraneo in cui questi maledetti possano
sottrarsi alla catastrofe, non rimarrà isola dell'oceano in grado di
accoglierli né deserto capace di inghiottire loro, i loro tesori e la loro famiglia. Rotoleremo tutti insieme nelle tenebre da cui non si ritorna, e il pozzo buio ci accoglierà, noi e i nostri dèi assurdi, noi e i nostri valori criminali, noi e le nostre speranze ridicole. Allora e soltanto allora giustizia sarà fatta, e verremo ricordati come un modello da non imitare più per nessun motivo, saremo il monito delle generazioni future e si verranno a contemplare gli orridi resti delle nostre metropoli, queste
figlie del caos partorite da quale ordine!   

- Se c'è un Dio, il caos e la morte figureranno nel novero dei Suoi attributi, se non c'è, non cambia nulla, poiché il caos e la morte basteranno a se stessi fino alla consumazione dei secoli. Non ha importanza quello che si incensa, si è vittime della caducità e della dissoluzione, qualsiasi cosa si adori non si eviterà nulla, i buoni e i cattivi hanno un solo destino, un unico abisso accoglie i santi e i mostri, l'idea di giusto e di ingiusto non è mai stata altro che un delirio, al quale ci appigliamo per ragioni di    
convenienza.    

- La Terra è divenuta l'altare degli olocausti e l'umanità, presa da vertigine, vi sale a immolarsi, calpestando quei pochi che denunciano l'impostura. Adesso sappiamo, adesso che è troppo tardi, sappiamo che ogni sacrificio quaggiù è solo un'impostura, e l'impostura più grande, ma lo abbiamo appreso in punto    
di morte. Domani la Rivelazione nuova illuminerà i resti dell'umanità su quanto vi è di assurdo nell'immolazione, la generazione attuale è già condannata, non c'è più ritorno, l'altare degli olocausti sta fumando e la nostra specie si accinge ad alimentarlo, alimentarlo con grida d'amore, nella speranza di sfuggire alla propria condizione, una condizione
divenuta inumana.   


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Di Caraco riporto anche questa mia recensione:

Confesso: dopo "Breviario del caos", sconvolgente "capolavoro di delirio da genocidio", mi aspettavo altrettanti deliri da sterminio... e invece no, perchè in quest'opera il nostro Caraco rievoca in brevissimi monologhi, la madre morta ("Signora Madre" come la chiama lui).
Tutto il libro (lo trovate nell'Adelphi) è scritto sotto forma di soliloqui, ora cinici ("E poi mi ha messo al mondo e io professo l'odio per il mondo\tutta la mia vita è una scuola di morte\io odio il mondo sia come malato sia come ebreo\i miei occhi restano asciutti come sempre, è verissimo che non piango mai"),
ora vicini a una sensibilità gnostica e catara ("Le mestruazioni, la gravidanza, e il parto, l'allattamento, come possiamo rendere gloria a simili schiavitù, sono disgustose\da secoli le obblighiamo alla gravidanza\noi abbassiamo la donna a livello di uno strumento\la donna soffre di essere donna."), ora ricordi della madre e della sua infanzia ("Al momento della sua morte le scatole dei farmaci arrivavano al soffitto\la Signora Madre vivrà nei miei scritti\è il mio modo di pagare il debito\la Signora Madre è morta\o mi impicco o la dimentico\volevo uccidermi\la Signora Madre vive in me\non ho più motivo di piangerla\si è incarnata e io la porto in seno\è lei mio figlio\mi fondevo con lei\all'ombra del suo crepuscolo\il mio lutto sbiadirà\il dolore si attenuerà").

Caraco, autore maledetto, forse non Filosofo ma Poeta, merita una riscoperta. Il suo dolore esistenziale, il rapporto coni genitori, la sua solitudine (penso non sia mai stato fidanzato), l'odio di sé, del suo "essere ebreo" - analogo a Weininger, altro autore "maledetto" -, l'odio del mondo, il cupo senso di Weltschmerz e di "impurità  cosmica"... Rispetto ad un autore come Cioran, quasi analogo a lui nei temi, in realtà  se ne discosta ampliamente: Cioran in fondo scelse la vita, pur "bestemmiando" ogni giorno contro Dio o il cosmo; ma Caraco ha scelto la morte, il non essere più: si suicidò nel 1971, poche ore dopo la morte del padre, tagliandosi la gola.

Aveva preannunciato: "Il suo corpo non sarà freddo quando io non sarò più al mondo."

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Herzen, Caraco:

Possiamo trovare ancora validi questi pensatori?

Sì, se li si legge alla luce di un significato più metaforico del nostro vissuto.

La disillusione di Herzen (il libro, tra l'altro, fu concepito come monito per il figlio) può essere vista come necessaria rassegnazione e stasi di fronte ad eventi dolorosi, che mettono a tacere un'evoluzione, un cambiamento, un divenire verso l'Altro,
il diverso da sé.
La misantropia di Caraco (da confrontarsi con un altro pensatore ebraico intriso di follia come Weininger...) invece, può essere, in senso figurato un'occasione per far piazza pulita di tutto ciò che ci è di ostacolo, in una ricerca iconoclasta volta al totale dispiegamento del Nulla (secondo la bella espressione di Ernst Junger nel "Trattato del ribelle" del 1951) affinché, con la sua totale espansione, ne consegui anche il suo esaurimento
(e la possibilità di superarlo).

Nessuno vieta, comunque, di passare da un'atteggiamento all'altro:

Hegel insegna che "Il conflitto tra tesi e antitesi si risolve in una proposizione che incorpora la verità parziale di entrambe (la sintesi), o più semplicemente:

"La realtà è l'unità delle contraddizioni"

Equilibrando inazione e distruzione, in senso anche figurato, si può giungere alla completezza del proprio essere.

Per terminare riporto alcuni concetti presi da Ernst Junger:

"Decisivo è fino a che punto lo spirito accetti la necessaria distruzione e se la marcia nel deserto conduca a nuove fonti."

e da Ivan Turgenev ("Padri e figli", 1862):

- "Voi negate tutto, o più esattamente demolite tutto... ma bisogna anche costruire..."
- "Questo non è più affar nostro... da prima bisogna far piazza pulita."

"Quando si è decisi a falciare tutto non bisogna risparmiare le proprie gambe."