Immanuel Kant
Nota:
Questo fu uno dei miei primi schemini, anni orsono.
Rileggendolo ora lo trovo piccolo come un pulcino...
Ho deciso comunque di lasciarlo così, nella sua fragilità,
nella sua tenerezza di piccolo schemino filosofico, se vogliamo, lo scrissi la sera che capii Kant, ed ero al culmine della contentezza, felice di averlo capito... certo, se dovessi riscriverlo ora, molto aggiungerei qui e lì, a livello di rimandi e citazioni, segno che sono ulteriormente cresciuta rispetto ad allora (per fortuna!); ma lo lascio così. In fondo non credo che a Kant dia fastidio :)
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"Accedere ai Lumi significa per l'uomo uscire dalla minorità in cui si trova per mancanza. Essere minore è essere incapace di servirsi del proprio intelletto senza la guida di un'altra persona. L'uomo si trova in questo stato di minorità per propria colpa, quando la causa non è la mancanza di comprensione, ma la mancanza di decisione e di coraggio a servirsi del proprio intelletto senza la direzione di un altro. Sapere Aude! Osa Sapere!. Abbi il coraggio di servirti del tuo proprio intelletto! Questo è il motto dei Lumi."
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Questo articolo vuole essere un omaggio a un Pensatore che spessissimo viene relegato su libri ampollosi (... noiosi).
Non vuole essere un articolo esaustivo ma solo celebrativo del concetto più famoso e innovativo di questo Filosofo.
Nel Criticismo kantiano viene affrontato il rapporto che intercorre tra soggetto (che deve conoscere un oggetto) e l'oggetto (il noumeno, nel linguaggio kantiano) che è inconoscibile, cioè al di là delle nostre possibilità conoscitive (è trascendente, perché "si pone al di là", va oltre, supera...).
Per Kant la conoscenza che possiamo avere della realtà, è fenomenica, cioè è apparenza: non conosceremo mai la vera essenza (il noumeno, quindi) delle cose, ma solo come esse ci appaiono (la loro apparenza).
Già Protagora nel V sec a.C. scriveva:
"il miele appare dolce alla persona in salute, amaro alla persona malata."
Ma l'essenza del miele qual'è?
L'essere dolce o amaro? O ambedue le cose?
Quindi, per ciascuno di noi, la realtà vera è quella che ci appare: non esiste una realtà vera a priori, vengono demolite quindi tutte le pretese di affermare a priori qualcosa.
Della realtà noi possiamo conoscere solo il modo in cui essa ci appare attraverso le categorie mentali, con la quale interpretiamo la realtà che osserviamo.
Le nostre categorie mentali, con le quali interpretiamo il mondo che ci circonda, sono analoghe a delle lenti deformanti o colorate, che possono far vedere uno stesso oggetto in forme, aspetti, colori differenti e molteplici.
Questo concetto tra l'altro, viene ripreso da de Sade, che usa questa metafora (degli specchi deformanti, anzichè le lenti) per far capire al suo personaggio, Justine, e al lettore, che ciò che può apparire disgustoso a uno, all'altro appare piacevole e voluttuoso.
Per Kant le nostre categorie mentali sono innate e universali:
tutti le abbiamo.
In particolare i concetti di spazio e tempo, ci fanno percepire la realtà spazializzata (a tre dimensioni, lunghezza, larghezza, profondità....) e temporalizzata (passato, presente, futuro) ma i concetti di spazio/tempo non esistono nella realtà, sono solo categorie mentali che abbiamo "costruito" e che "ci illudono" che la realtà, il mondo circostante abbia un senso "a tre dimensioni" o "a tre tempi" cioè che esistano distanze da misurare, o momenti da scandire.
Ne consegue che:
A) Le cose esistono solo se qualcuno le percepisce:
ciò che fa esistere le cose è l'atto di percepirle, di notarle, di osservarle, di valutarle...
Da qui (il concetto è berkeleyano) si svilupperanno l'Idealismo di Hegel, l' Attualismo di Gentile, la Fenomenologia di Husserl e l'Esistenzialismo.
In Berkeley, inoltre, è interessante notare che se della realtà materiale posso farmi un'idea, questa idea che io mi faccio, è a sua volta immateriale, pur se inerente alla materialità, che però esiste come concetto nella mente! Tale paradosso prende il nome di Immaterialismo.
B) Se non esiste una verità unica, se tutto è illusione (dell'intelletto), se noi ci illudiamo attraverso le categorie trascendentali (spazio, tempo, quantità, causalità...) allora tutti i valori oltre che essere transitori e precari, sono anche illusori e chimerici.
Della realtà non possiamo affermare nulla di certo e valido a priori (e anche Sartre analizzerà questo concetto del "nessun bene a priori" nella sua opera "L'Esistenzialismo è un umanismo")
Da qui, secondo una rielaborazione mia personale del pensiero kantiano, che riporto ma che NON HA LA PRETESA di ridurre Kant a questo (non oserei mai!!!) "possiamo cadere" nell'abisso del Nichilismo, ponendo non l'Essere, la Verità, il Bene, l'Amore o Dio come principio di tutto su cui poggiare le nostre scelte, idee, convinzioni, ma il Nulla, il "non è possibile affermare nulla".
Siamo come burattini convinti di muoverci nel tempo, nello spazio, mentre in realtà siamo fermi, accasciati in un angolo (e disperatamente "gettati" nonchè "non liberi di non essere liberi") che sognano o si illudono......
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Stralci tratti da "I nuovi demoni" di Simona Forti
"Tutti gli incentivi "perversi" che l'arbitrio può perseguire vengono così rubricati sotto la categoria di "amor di sé", "il quale se assunto come movente delle nostre massime è la vera fonte del male". Il male, in sostanza, non è altro che un eccesso dell'autoaffermazione, una passione smodata per il proprio Sé. Kant, secondo alcuni interpreti, sta traducendo nel linguaggio della ragion pratica le due istanze antropologiche fondamentali, la tendenza (Hang) verso il male e la predisposizione (Anlage) al bene, in modo da poter esplicitare le condizioni di possibilità di una scelta libera tra i moventi derivanti da queste due propensioni della natura umana."
"Il male, insomma, non è una sostanza e non è nemmeno un nonessere. È un agire. Ed è un'azione della quale deve potersi dire che l'uomo "avrebbe dovuto non compierla, qualunque sia stata la circostanza o la condizione in cui sia venuto a trovarsi, perché nessuna causa al mondo può far sì che egli cessi di essere un soggetto che agisce liberamente"
"La domanda unde malum? chiama in causa una volontà effettiva di compiere il male per il male, e tale volontà risponde alla libertà, a sua volta fondata nella libertà dell'Assoluto, diviene inevitabile vederne l'origine stessa in Dio. La difficoltà di tenere insieme Dio, male e libertà, per cui il fondamento del male indipendente da Dio non può che essere in Dio stesso, viene risolta da Schelling grazie a un modo diverso di pensare Dio. Dio è da pensare non come un'idea astratta, ma come "realtà vivente": "Dio è qualcosa di più reale di un semplice ordine morale del mondo e ha in sé forze motrici completamente diverse e più vive di quelle che gli attribuisce la misera sottigliezza degli idealisti astratti".È una realtà che diviene, in permanente attività, nella quale si trovano all'opera forze divergenti e in conflitto tra loro."
(Anche per Luigi Pareyson, uno dei più geniali Pensatori Cristiani, il Male è già in Dio, ab aeterno, anche se solo l'essere umano ne diventa l'artefice in terra; nota di Lunaria)
"Ciascuno degli enti giunti alla luce - continua il discorso
schellinghiano - conserva traccia della dualità originaria: mantiene la possibilità di una tensione tra due movimenti irriducibilmente conflittuali. Da una parte, una forza centrifuga verso la singolarizzazione, potremmo dire, verso l'ipseità, che si traduce in un desiderio di sé, in un accanimento della volontà particolare; dall'altra parte, una forza centripeta, traducibile in un desiderio di totalità, in una volontà che mira all'universale. Soltanto nell'uomo, il quale è, secondo la famosa definizione, "abisso e luce", l'essere giunge ad autocoscienza. Soltanto nella vita umana Dio giunge a rivelarsi come esistenza in atto. In altre parole, le due tendenze originarie del Fondamento e dell'Esistenza, in Dio non separabili, si articolano e si distinguono quando giungono alla coscienza di sé nell'essere umano."
"In Dio, il suo fondamento - il principio delle tenebre - si trasforma con la sua esistenza - il principio della luce - nella sua esistenza in atto. Solo quando Dio si rivela diventa piena attualità. Dio ha dunque bisogno della relazione con le sue creature, ed è solo con gli esseri umani che la libertà diventa il potere del bene e del male. La separabilità dei principi è essa stessa, in ultima istanza, la possibilità del bene e del male. Perché nell'uomo quella dualità- unità che è in Dio si frantuma: il principio delle tenebre, l'infondato, il disordine, può sopraffare il principio della luce, dell'ordine. "L'uomo si trova in un vortice dove egli ha ugualmente in sé la fonte del moto autonomo verso il bene e verso il male: il legame dei principi non è in lui necessario, ma libero. L'uomo sta al punto di demarcazione; qualunque cosa egli scelga, sarà opera sua.
Nella forma più alta di coscienza - l'umano, appunto - il lato negativo della potenza, il caotico, lo sregolato, può diventare un atto libero. È questo il male."
"Ciò significa - ed è l'aspetto per me rilevante - che la libertà umana è tale perché in essa è prevista la scelta per il nulla, per l'annientamento, per il caos. È la traccia ontologica dell'infondato, delle tenebre, che nelle creature coincide con la volontà di sé, con il desiderio di rimanere chiusi in se stessi, del non aprirsi all'universale. Un'ostinata volontà di opporsi all'essere e di ergere se stessi a totalità della vita, che può finire soltanto nella morte. Se la volontà divina è volontà di universalizzazione e di totalità, la volontà dell'uomo che vuole il male persevera nella particolarità. In una parola, è il rifiuto dell'apertura all'Altro da Sé, è il rifiuto dell'amore, e la conseguente scelta anarchica per il dominio incontrastato della creaturalità. Da qui l'ineluttabile scelta da parte di quell'essere che "per la presunzione di essere tutto, cade nel nulla."