Sandro Maggiolini



Trascrivo qualche pagina di Sandro Maggiolini, tratta da "Apologia del Peccato" (1983). Sandro Maggiolini è stato vicario episcopale per la Pastorale delle Università di Milano. Tra le sue pubblicazioni: "Il matrimonio, la verginità" (1976), "Parola di Dio, preghiera dell'uomo" (1980), "Quasi sorella morte" (1982).



Pagina 15-16

Chiamo "tragedia" una situazione dove gli elementi che entrano in contrasto non approdano ad una soluzione più alta e armonica, ma si elidono tra loro, si distruggono l'un l'altro, raggiungendo una "pace" che è quella della morte. L'uomo sperimenta la "tragedia" quando è lacerato da una antinomia senza scampo: quando in lui la dissociazione interiore non trova esito, e lo conduce a un assurdo che non può essere accolto o tollerato. Allora subentra la reazione nichilistica. Il suicidio sarebbe la conclusione più logica della "tragedia": il suicidio consumato di fatto in una maniera determinata, in un momento preciso; o il suicidio protratto nel tempo, vissuto come rinuncia a costruire il proprio destino: protestando, urlando nel vuoto, o piegandosi ad una fatalità che si avverte insensata ma inevitabile, e scelta, voluta. Non sono pochi i casi di persone che, pur non appendendosi a una trave, non sparandosi alle cervella, non ingurgitando dosi letali di barbiturici, avvertono, tuttavia, in modo ossessivo e raffinato il fascino del nulla e se ne lasciano conquistare. I più non vogliono neppure ammettere la contraddizione che li tormenta, e si "lasciano vivere" tentando di dimenticare la disperazione che pur urge dentro e invoca uno sbocco. "Fornicavano e leggevano giornali", direbbe Camus. E Thomas Mann: "Così viveva il ragazzo... giorno per giorno senza aspettare altro dalla vita se non il giorno che sorgeva e moriva." Si tratta di situazioni non poi tanto remote: forse in misura diversa le abbiamo vissute un poco tutti. Esistenze strascicate, scialbe, senza un rigurgito di dignità e un guizzo di fiducia.
Il momento "tragico" nasce nell'uomo dalla decisione di chiudersi in se stesso, di opporsi a ogni altra istanza, di rifiutarsi a ogni invocazione. In chiave cristiana, dalla scelta di ribellarsi a Dio. La "tragedia" coincide così col peccato. Anzi, col peccato radicale: quello per cui ci si sequestra nel proprio io e ci si rende inoppugnabili a ogni incursione della misericordia che viene offerta ma che non si impone. In un universo di comprensione cristiana, la "tragedia" non si giustifica con il nonsenso dell'esistenza, ma con la libertà di ciascuno che opta per un'esistenza priva di senso: assurda, perchè chiusa all'Assoluto.


Pagina 19

Ritengo leale ammettere degli errori o delle colpe nel passato o anche nel presente da parte cristiana. Da parte di noi credenti. Forse almeno dei malintesi non mancano neppure sul versante anticristiano. è quanto meno sbrigativo, a esempio, destituire l'uomo di ogni responsabilità asserendo che Dio non vorrebbe o non potrebbe togliere il male dal mondo, e dunque Dio medesimo andrebbe tolto di mezzo, come suggerisce una frase pungente e leggerissima, spesso sfoderata, di Voltaire: "Non credete affatto in Dio, piuttosto che addebitargli proprio ciò che negli uomini sarebbe impossibile... Essa (questa dottrina) fa di Dio la cattiveria stessa, la cattiveria senza misura e senza scopo, che ha creato esseri pensanti al fine di renderli infelici per tutta l'eternità, o anche l'impotenza e l'imbecillità stessa che non ha potuto né prevedere, né impedire l'infelicità delle sue creature". Già. Dopo di che, come si spiega il male? Lo si ipostatizza e se ne fa una sorta di destino cieco?  O a chi lo si attribuisce? Dopo Auschwitz, dopo i Gulag, davvero non si può più credere in Dio, o diventa necessario credergli, se non si vuole che i morti rimangano senza senso e che l'uomo sia schiacciato da una fatalità che non può neppur più essere chiamata cattiveria? è del tutto logico e ponderato cancellare Dio dalla realtà perché non lo si avverte sensibilmente agire dentro la storia?


Pagina 21

"Che cosa può un soggetto se, slegato dall'Assoluto, si è abbandonato all'alea dell'insensato?" ha scritto H.B. Lévy: "Niente, risponde il secolo. è materia, solo relativa materia, nell'alchimia della Storia. Andrà a rotolare in fondo al baratro col suo glorioso fucile... se non c'è più il peccato, il crimine è l'anima. Se non c'è redenzione, l'espiazione è il vivere. Se Dio non è più il Padrone, vince sempre la morte. Sollievo? Tutt'altro. Le catene sono più che mai pesanti. Vuoti i cieli senza Dio? Tutt'altro. Sono pieni della sua assenza muta, più esigente di qualsiasi presenza. Liberato l'empio? Non siamo mai stati tanto prigionieri come da quando non crediamo più."


Pagina 24

Siamo all'oscillazione, al pendolarismo cui alludevo. Irritante e comprensibile, se si riflette sul fatto che "ogni volta che l'uomo acquisisce una più elevata rivelazione di se stesso, si fa orrore", come afferma Proudhon: orrore per la responsabilità a cui si trova legato - qui mi stacco da Proudhon -, e non solo per l'inclinazione al male che registra in se stesso.


Pagina 30

Ancora un personaggio di Dostoevskij per sgomento di fronte alla libertà "restituisce il biglietto" dell'esistenza come rischio. Niente peccato possibile. Ma in tal modo, rimane ancora all'uomo una qualche fierezza, una qualche maestà?  Sartre ha previsto palesemente l'approdo della sua concezione di libertà illimitata: "Sono libero: non mi resta più alcuna ragione di vivere, tutte quelle che ho tentato hanno ceduto e non posso più immaginarne altre... sono libero. Ma questa libertà assomiglia un poco alla morte".


Pagina 44

Richiamavo Hegel, per il quale duro e crudele è il "dolore infinito dell'assenza di Dio", duro a provarlo e a confessarlo; ma è "crudeltà" necessaria, perchè la "sofferenza assoluta, ossia il "Venerdì Santo Speculativo", è condizione sine qua non della Resurrezione.


Pagina 45

Non bisogna scorgere nella mentalità e nel modo di vivere di oggi, soltanto errori e aberrazioni. Anche gli orologi fermi sono esatti due volte al giorno.


Pagina 56

E Maritain aggiungerebbe: "Senza la libertà fallibile, non vi è libertà creata; senza libertà creata, non vi è amore d'amicizia tra Dio e la creatura; senza amore d'amicizia tra Dio e la creatura, non vi è trasformazione soprannaturale della creatura in Dio, e non vi è ingresso della creatura nella gioia del suo Signore. Ed era bene che questa suprema libertà fosse liberamente conquistata. Il peccato, il male è il prezzo della gloria."